Venerdì di Repubblica
4 marzo 2015

Caro Lucio ti scrivo

di Cesare Cremonini

Venerdì di Repubblica
4 marzo 2015
di Cesare Cremonini

C'è stato un periodo in cui Lucio mi chiamava al telefono a strane ore del giorno o della notte. Erano telefonate molto brevi, in cui lui con il suo solito entusiasmo mi raccontava come un fiume in piena quello che aveva in mente o ciò che stava realizzando. Il suo eclettismo mi entusiasmava. Era alle prese con dischi, colonne sonore, opere teatrali, concerti, musical, televisione, radio, cinema, opera lirica, musica classica. Non c'era volta in cui con la sua sua arte non si stesse rivolgendo a un diverso ramo del mondo dello spettacolo, e quindi a un diverso tipo di pubblico. Riusciva ad arrivare a tutti. Capitava anche che mi cercasse per complimentarsi con me per quello che stavo facendo. L'ultima volta che lo avevo sentito, ad esempio, era successo a pochi giorni dall'uscita nelle sale del film di Pupi Avati, "Il cuore grande delle ragazze", in cui io avevo recitato, e lui aveva composto delle musiche commoventi. Dopo averlo visto in anteprima mi chiamò riempiendomi di elogi, eccessivi a mio parere. Le sue parole mi lasciavano sempre un grande sorriso sul volto. Ma il più delle volte in cui mi cercava era per domandarmi il perché non gli rispondessi quasi mai al telefono!
Che imbarazzo quando capitava! "Non dico che siamo amici, ma ho grande stima...", mi rimproverava. Ora sorrido amaramente a ripensarci, ma era vero, non mi facevo trovare quasi mai. Quando succedeva il contrario mi scusavo sentitamente per non avergli risposto prima, parlandogli come si fa a un Dio a cui ti rivolgi solo il giorno di Natale. Iniziando dalle scuse. Non so dire il perché cercassi di tenere una certa rispettosa distanza. Non sono mai riuscito a spiegarglielo. Per prima cosa avevo un tale amore, una così profonda passione per il cantautore ‪Lucio Dalla che la possibilità di conoscere più da vicino la persona fisica mi confondeva. So che può sembrare strano, o fuori luogo detto ora, ma un Dio per me è un Dio, e volevo che rimanesse tale. Mi sentivo così piccolo di fronte alla sua storia artistica! Inoltre normalmente si tende a mantenere un certo senso di protezione verso le proprie sicurezze, e una di queste era che l'incontro con Lucio non sarebbe potuto essere migliore di quello con le sue straordinarie canzoni. Non fraintendetemi, non era una certezza assoluta, ma mi pareva alquanto probabile.
Avrei preferito conoscerlo attraverso un binocolo, o lo spioncino di una porta segreta tra le tante della sua meravigliosa casa di Bologna, spiandolo magari nei momenti di vera solitudine, quando un grande artista non può che essere o tornare ad essere del tutto umano, semplice e vero, per carpirne i segreti, le sfumature meno comuni della sua genialità, o da dove ricavasse i suoi versi e le sue intuizioni migliori. Dove coltivasse le sue rime. In quali giardini della mente le facesse fiorire prima di raccoglierle per porgerle al pubblico. Era questo che più mi attraeva di lui.
Mi capitò qualcosa di molto simile il giorno del suo ultimo concerto a Bologna insieme a Francesco DeGregori. Ricevetti una sua chiamata alle undici di sera in cui mi invitava a prendere un caffè a casa sua, a poche ore dallo show. "Vieni da me domani pomeriggio che ci prendiamo un caffè insieme a Francesco!". Accettai con grande emozione e curiosità: Dalla e DeGregori tolgono il respiro a sentirli cantare su un palco, potete ben immaginare cosa voglia dire ascoltarli conversare liberamente mentre sorseggiano un caffè e chiacchierano di musica in un terrazzino che si affaccia sui tetti della Basilica di San Petronio. La mia città. I miei artisti preferiti.
Durante il nostro incontro, in cui ho avuto il piacere di conoscere anche ‪Marco Alemanno, si parlò prima di canzoni. Gli chiesi com'era nato l'arrangiamento di "Come è profondo il mare", "Mambo", "Lucio dove vai?", tre canzoni inarrivabili di cui Lucio mi sembrò essere giustamente molto orgoglioso. Poi volle mostrarmi alcuni segreti della sua casa, tra cui una sala adibita a cinema, "questa è la mia vera grande passione", e il suo prezioso pianoforte a coda. Ora non mi sovviene la marca o il modello, né chi lo avesse suonato, o a chi fosse appartenuto prima di lui, ma ricordo che Lucio mentre ne parlava pronunciò la parola "Pavarotti", e io sentita quel nome magico smisi di ascoltare il resto: ero troppo preso dalla coraggiosa tentazione di suonarlo. Mi sedetti sullo sgabello, e molto lentamente appoggiai le mie mani quei tasti, cominciando con "Maple Leaf Rag", un famoso brano di ‪Scott Joplin. Appena dopo l'inizio mi voltai per complimentarmi con lui per quel suono magnifico, ma Lucio era già sparito dalla mia vista. Alzai le mani all'istante dalla tastiera, preoccupato oltre ogni modo di aver fatto qualcosa di sbagliato, cercando di capire dove fosse finito. Sentii i suoi passi che correvano, anzi trotterellavano in modo buffo sul pavimento di là, oltre il salotto, e la sua voce squillante, dolcemente effemminata: "Francesco! Francesco!", gridava entusiasta. "Francesco, vieni a sentire Cesare che suona! Vieni qui!" Mi scappò da ridere. E anche da commuovermi. "Condividere. Una malattia che conosco", pensai. Poi continuai a suonare.
Entusiasmo da bambini per la condivisione. Curiosità infinita verso il genere umano. Voglia di giocare, insieme, alla musica. Questo è l'ultimo ricordo che ho di Lucio. L'insegnamento che porto in tasca come un regalo.
Gli artisti, quelli veri, nascono per non morire, mai. Presto sarà di nuovo il 4 Marzo, Lucio, e tu sei ancora qui con noi.
Buon compleanno!